"[...]Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e fino all'estremità della terra". Atti 1:8

venerdì 12 novembre 2010

L'uomo beato...

Salmo 32

La felicità del peccatore perdonato
2S 12:13 (Sl 6; 51; 130) Ro 4:6-8; Is 55:6-9
1 Di Davide. Cantico.
Beato l'uomo a cui la trasgressione è perdonata,
e il cui peccato è coperto!
2 Beato l'uomo a cui il SIGNORE non imputa l'iniquità
e nel cui spirito non c'è inganno!
3 Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano
tra i lamenti che facevo tutto il giorno.
4 Poiché giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me,
il mio vigore inaridiva come per arsura d'estate. [Pausa]
5 Davanti a te ho ammesso il mio peccato,
non ho taciuto la mia iniquità.
Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE»,
e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato. [Pausa]
6 Perciò ogni uomo pio t'invochi mentre puoi essere trovato;
e qualora straripino le grandi acque,
esse, per certo, non giungeranno fino a lui.
7 Tu sei il mio rifugio, tu mi proteggerai nelle avversità,
tu mi circonderai di canti di liberazione. [Pausa]
[...]

mercoledì 10 novembre 2010

I doveri degli uomini

Leggiamo il capitolo 3 del libro della Genesi dal versetto 14 al versetto 19.
In questi versettiDio esprime la condanna causata dal mancato rispetto del suo comandamento: non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male.

Dio prima condanna il serpente, poi la donna e infine Adamo.

Tra i tre vi è però una differenza che ad una prima lettura potrebbe non essere così evidente.

Ad Adamo vengono riconosciute due trasgressioni, la prima delle quali non è aver disubbidito a Dio, ma averlo fatto dopo aver dato ascolto alla moglie!

Dio aveva creato la donna come aiuto convenevole per l'uomo, eppure si dimostra qui motivo di caduta, addirittura dell'introduzione del peccato (e quindi della morte) nell'umanità intera.

Poco più aventi nel libro della Genesi abbiamo un altro esempio.
In Ge 15: 4-6 Dio promette ad Abramo una discendenza innumerevole, Abramo credette a questo nonostante la propria moglie fosse sterile e questo Dio “gli contò questo come giustizia”.
Ma in Ge 16: 1-6 vediamo che Sarai non comprende bene i tempi del Signore e offre a suo marito la propria serva come concubina affinchè partorisse al posto suo la discendenza di Abramo. Lui accetta e Agar partorirà Ismaele. Ma questa non era la volontà di Dio, che poi darà ad Abramo una discendenza attraverso sua moglie in Isacco; la conseguenza è che anche Ismaele è diventato numeroso come la sabbia del deserto, essendo il capostipite degli Ismaeliti, cioè di coloro che sono poi i Musulmani, con la ripercussione che ancora oggi Israele sta scontando...

Vdiamo un altro esempio nel libro di Giobbe al capitolo 2 ai versetti 7-10; il Signore ha permesso a Satana di provare Giobbe fino all'estremo della sua fede, togliendogli tutto e alla fine infierendo anche sulla sua persona. Giobbe era un uomo ricco e con una famiglia numerosa e si ritrova con niente e nessuno...Nessuno a parte sua moglie! La quale nei versetti che analizziamo spinge il marito a lasciar perdere Dio e lasciarsi morire, invece che stare saldo nella sua integrità! Giobbe si ricorda però della benignità e dell'abbondanza con le quali Dio lo aveva trattato fino ad allora e risponde:”Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?”
Sappiamo poi che Dio ristabilirà ancor più grandemente Giobbe. Egli si è preso la sua responsabilità, rintuzzando l'ulteriore prova alla quale si trovava innanzi zittendo la moglie e rimettendosi alla volontà di Dio.

Pr 12:4 La donna virtuosa è la corona del marito, ma quella che fa vergogna gli è un tarlo nelle ossa.

Ma allora la donna è un intralcio per l'uomo? Non sia mai detto questo. Come abbiamo visto negli esempi citati precedentemente, la donna si trova ad essere spiritualmente più debole dell'uomo e quindi più vulnerabile e sensibile agli attacchi del maligno.

Laggiamo 1Ti 2:9-15 “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione”
La moglie di Giobbe non ha imparato nulla anche solo dall'atteggiamento di suo marito nei confronti di quello che gli stava accadendo; invece di sottomettersi (che non significa accettare passivamente, ma capire e condividere fiduciosamente!) e stare in silenzio ha voluto intervenire. Ma allora dovremmo lasciare che le donne si autoregolino? O fare come Giobbe e intervenire?
In 1Pi: 3-7 abbiamo alcune prime indicazioni su cosa l'uomo deve fare. La donna è un vaso più delicato (come abbiamo detto prima più vulnerabile dal punto di vista spirituale), ma non inferiore; dobbiamo rendere loro il giusto onore, trattarle con grazia, perchè se non ce ne prendessimo cura, addirittura saremmo impossibilitati a far udire a Dio le nostre preghiere! Sull'uomo c'è una grande responsabilità.

In 1Co 11: 7-10 leggiamo una frase illuminante: “...la donna è la gloria dell'uomo...” e l'uomo è la gloria di Dio. Il rapporto è lo stesso. La donna deve portare un segno di autorità sul suo capo, poiché l'uomo viene prima della donna.
Ma il rapporto non è solo di tipo gerarchico o di autorità di uno sull'altro.

Leggiamo attentamente Ef 5: 25-33.

Ecco come dobbiamo comportarci con le nostre mogli, come Cristo (lo sposo) si comporta con la sua chiesa (la sposa): non solo essendone il capo, e dunque guidandola con amore, ma accudendola amorevolmente, amandola come la propria persona, facendola crescere spiritualmente affinchè sia veramente la nostra gloria davanti a Dio.

Le nostre mogli sono un dono prezioso di cui siamo responsabili davanti a Dio.
Amamole e curiamole seguendo in ogni cosa l'esempio perfetto di Cristo.

venerdì 19 febbraio 2010

La compassione

Leggiamo Lu 10: 25 - 37, ma fermiamoci un attimo al versetto 36 ad analizzare la domanda di Gesù: "Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?”
La domanda che mi sarei aspettato è “di chi è stato il prossimo...”, visto che il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso” ci indica di assistere coloro i quali incontriamo, i nostri “prossimi” nei loro bisogni; la domanda di Cristo pone in nuova luce il significato della parabola e impone una analisi dei personaggi che vi prendono parte.
Nella parabola cosiddetta “Del buon samaritano” troviamo tre figure significative del mondo ebraico: da una parte troviamo un sacerdote ed un levita, coloro i quali dovrebbero essere le guide spirituali del paese, l'esempio da seguire, i depositari della legge e della tradizione del popolo ebraico; dall'altra parte un Samaritano: I Samaritani erano un popolo odiato e disprezzato dagli Ebrei da lungo tempo; i rapporti tra i due popoli erano talmente aspri che, nel momento in cui ci furono i primi convertiti in Samaria, fu necessario che una delegazione della chiesa di Gerusalemme si recasse da loro per imporre le mani, sancire la “fine dell'ostilità”, la cessazione dell'odio tra i due popoli, e permettere così che lo Spirito Santo scendesse anche su di loro (Atti 8: 14 – 15). Ma è proprio il Samaritano, odiato e disprezzato, ad essere colui che usò misericordia.
Questa contrapposizione e la domanda di Cristo, che rendono attiva la ricerca del prossimo e non un'attesa passiva di incontrarlo, proiettano la figura del Samaritano della parabola in una immagine di Cristo stesso: odiato e disprezzato dal popolo , attaccato e condannato dalle autorità fu colui che usò misericordia a tutti coloro che credono in lui.
Si pone dunque come esempio di amore verso gli altri, un amore che deve essere mosso dal sentimento che ebbe il Samaritano: la compassione.
Il termine greco usato nella parabola indica un movimento delle visceri causato da una immedesimazione nei sentimenti dell'altro, di chi ci sta di fronte, allo stesso modo in cui la parola latina indica questa partecipazione all'altrui sentire. E dunque con l'esempio di Cristo e con il suo stesso sentimento, seguiamo la sua esortazione : “Va' e fa' anche tu la stessa cosa”. Attività e non passività: andiamo e incontriamo il nostro prossimo (cioè, come vedremo alla fine, Cristo stesso).
Vediamo dunque come, nei racconti del vangelo, Cristo ci dia le indicazioni di come il suo stesso sentimento ci debba spronare a servirlo.

Mt 9: 35-36
In questo passo troviamo Gesù che, vista la folla davanti a lui, ha questo moto di compassione riconoscendo la sofferenza di coloro i quali vengono paragonati a pecore senza pastore: chi ancora non conosce il suo messaggio di vita eterna è stanco e disperso. Solo il buon pastore, Gesù Cristo, può dare riposo e rifugio sicuro. E' dunque nostro dovere essere gli “operai nella messe” che il Signore ci chiama ad essere nei versetti successivi. Mossi dal suo stesso sentimento, la sofferenza nel sapere che chi non lo conosce non gusterà la vita eterna, ma passerà dalla vita della carne alla morte e alla sofferenza eterna, ci poniamo l'evangelizzazione come chiamata diretta di Cristo a seguire il suo meraviglioso esempio; lui che girava in città e paesi a guarire e a predicare il ravvedimento e la buona novella della sua missione.

Mt 14:14 - Lu 7:13

In questi due passi Gesù incontra malati e morti e ancora una volta si identifica nel sentimento di chi è malato e di chi ha perso una persona cara e, riconoscendo le loro necessità, porta guarigione e resurrezione.
Per noi l'esempio è duplice, su due piani: da un lato l'esempio materiale ci spinge ad essere vicini a chi soffre, a visitare i malati e a confortare gli afflitti, a dare il nostro sostegno; dall'altro lato, l'esempio spirituale ci fa vedere la malattia e la morte negli altri come segni della vita condotta nel peccato: chi non conosce la purificazione che Gesù ha operato una volta per sempre morendo per noi sulla croce, donandoci la vita eterna, vive nella malattia del peccato che conduce alla morte spirituale. Possiamo dunque favorire la guarigione e la resurrezione di questi “morti che camminano” portando loro, ancora una volta, con il sentimento di Cristo, il suo messaggio di salvezza.

Anche nella famosa parabola del “Figliol prodigo” (Lu 15:11-32 nello specifico il v. 20) il padre, vedendo il figlio che ritorna, mosso dal sentimento di compassione, conoscendo e provando egli stesso la sofferenza per la lontananza dal figlio, gli va incontro per accoglierlo. Così come il nostro unico e vero Padre spirituale (Dio attraverso Gesù Cristo) ci è venuto incontro per far sì che ricevessimo ciò che avevamo perso, cioè la vera comunione con lui, anche noi siamo invitati ad accogliere coloro che cercano e chiedono e desiderano ritornare al Padre, avendo ancora il compito di condividere ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto: il messaggio di Gesù, la salvezza per grazia, la pace di Cristo.

Mt 15:32

Ancora una volta Gesù si trova davanti alla folla: in questo caso è la fame a farla soffrire e a far parimenti soffrire Cristo, a far comprendere il reale bisogno di queste persone. Meravigliosamente provvederà a sfamare queste persone. Anche stavolta la duplicità dell'esempio ci esorta da un lato a condividere con gli altri ciò che abbiamo di materiale, poiché sappiamo con certezza che tutto ciò che abbiamo lo possediamo perché il Signore ce l'ha concesso; allo stesso modo ci ricorda che lui stesso (Gv 6:55) è vero cibo e vera bevanda, che solo lui può sfamare e dissetare per sempre: Come non essere spronati anche da questo a far parte con gli altri di ciò che abbiamo ricevuto da Cristo attraverso la sua morte e la sua resurrezione: siamo stati sfamati e dissetati, non abbiamo più bisogno di nulla poiché abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno: la vera vita in Cristo.

Tutti questi esempi ci mostrano come questo sentimento ci spinga ad operare, sia come singolo sia come chiesa, verso chi ancora non crede e non ha conoscenza vera di Cristo; ma ciò non ci deve ingannare: come possiamo avere questo amore per gli altri se prima non rivolgiamo lo stesso amore verso i nostri fratelli? Come infatti leggiamo in 1Gi 3:16-17, come possiamo testimoniare l'amore di Dio in noi a chi non lo conosce se chiudiamo le viscere davanti al nostro fratello? Questo chiudere le viscere è proprio in contrapposizione al moto di viscere che corrisponde alla compassione: se dunque il sentimento di amore che Cristo ha provato per noi non è prima condiviso con i fratelli della chiesa, non porterà frutto all'esterno. Seguiamo dunque le esortazioni di Paolo in Ro 12:15 (che ci ricorda che abbiamo anche grandi gioie da condividere e non solo sofferenza) e in Ro 15:5-7.
Se tutti noi abbiamo lo stesso sentimento di Cristo gli uni verso gli altri, la chiesa come corpo avrà lo stesso sentimento e questo porterà frutto verso gli altri.

A questo punto dobbiamo stare attenti agli inganni della nostra mente: potremmo trovarci a pensare che non sia così semplice seguire l'esempio del Signore. Egli è Dio mentre io sono solo un uomo, come posso costringere il mio egoismo di essere umano ad operare come lui stesso ha fatto? Troppo difficile...
Ma ancora una volta è l'esempio di Cristo a mostrarci il percorso: come possiamo leggere in Eb 2:17-18, egli, per dimostrarci come si possa e si debba seguire il suo esempio di servizio, è sceso sulla terra diventando uomo, ed essendo tentato come lo siamo noi, essendo stato triste, affaticato, avendo provato il dolore e addirittura la morte, essendo stato in questo l'esempio supremo della compassione avendo provato ciò che noi proviamo, non ha lasciato spazio a scusa alcuna perché chi crede in lui non operi come lui stesso ha fatto.

E quindi vedendo, come abbiamo detto all'inizio, Cristo stesso nel nostro prossimo, operando per la sua gloria, leggiamo cosa ci insegna in Mt 25: 31-46 e, mossi dal suo stesso sentimento, andiamo e facciamo la stessa cosa anche noi.

Rubriche

Informazioni personali

La mia foto
Concesio, Brescia, Italy
Ro 9:8b Questa è la parola della fede, che noi predichiamo; 9 poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesù, e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato. - Io lo credo, sono nato di nuovo e sono salvato. E tu?

Lettori fissi